Sembra.
Però se un giorno squilla il telefono e dall’altra parte c’è Geoff Johns che vi dice “Ciao. Lo sai che io so scrivere belle storie di supereroi? Di quelle proprio classiche classiche?” voi non rispondetegli “Non prendermi per il culo, è impossibile.” perché quest’ometto qua non dice il falso, è uno dei pochissimi davvero capaci: tra Green Lantern, JSA e Action Comics negli ultimi anni non ha sbagliato un colpo (si, vabbé, uno l’ha sbagliato. I Teen Titans m’hanno fatto un po’ kakà. Ma lo perdono)
Chiariamolo subito, se siete della scuola di pensiero per cui i supereroi devono essere dark, grim and gritty o calati in contesti particolari altrimenti sono una palla e la sola idea di prendere un albo di Superman in mano vi ripugna, soprattutto se non l’avete mai fatto prima quindi a causa di un semplice pregiudizio, vi dico che la vostra è una rispettabilissima opinione, però potete pure smettere di leggere qua perché non parlerò di niente che possa minimamente interessarvi.
Arrivederci.
Ecco, adesso che siamo rimasti tra persone intelligenti possiamo andare avanti. Questa gente non capisce un cazzo, non ha mai capito un cazzo e non capirà mai un cazzo, quindi meglio se vanno affanculo lontano dalla nostra vista.
Quest’arco narrativo di Action Comics, scritto da Johns in collaborazione con Richard Donner, lo potete rintracciare nell’agile volumetto americano, su thebookdepository a 12.32£, o sui numeri 4-5-6-9-22 del mensile Planeta (2.95*5=14.75€). Si, 9-22. E’ passato più di un anno tra la pubblicazione degli ultimi due capitoli, principalmente a causa della lentezza di Adam Kubert, il disegnatore, che ha fatto un grandissimo lavoro ma ha fatto davvero con comodo. E’ valsa la pena di aspettare tutto questo tempo? Tutto sommato si, in una personalissima classifica delle storie dell’azzurrone lette negli ultimi anni questa Last Son la metterei al terzo posto, poco dietro Superman e
“C’hai rotto il cazzo, di che parla sto fumetto?”. E c’avete pure ragione, andiamo al sodo.
Un bel giorno cade giù dal cielo un’astronave con a bordo un bambino kryptoniano. Il governo lo sequestra per farne una cavia, ma Superman lo libera e, assieme a sua moglie Lois, lo adotta. Da quel giorno in poi il ragazzino sarà Christopher Kent (chiaro omaggio alla buonanima dell’altro Christopher, Reeve). Ma come al solito un grande male trama nell’oscurità e Chris rappresenta solo l’avanguardia di una vera e propria invasione di criminali kryptoniani in fuga dalla zona fantasma che hanno la ferma intenzione di trasformare
Questa storia si incastra a pennello in quelli che sembrano essere i piani di Johns per il personaggio finora, cioè indagare su che cosa rende Superman super. E’ soltanto merito dei superpoteri? E allora che cosa lo renderebbe migliore dagli altri se si dovesse trovare a lottare con tanti nemici potenti come lui (come in questo last son)? Oppure, sarebbe super anche senza superpoteri (discorso affrontato in Superman e
A parte un buchetto all’inizio (se qualcuno mai lo leggerà ne riparliamo) la sceneggiatura funziona, è semplice ma full of epicness, ed è così che devono essere le storie di supes. Si sente ed è gustoso il tocco di Donner (il regista dei vecchi film di Superman per chi non lo sapesse. Nel caso, vergognatevi) sullo sfondo in piccole trovate e più in generale nel creare un’atmosfera che ricorda molto Superman II. Johns tra le altre cose ha interpretato bene il rapporto supes-luthor (belle le due pagine di dialogo nell’ultimo numero) e gli approcci genitoriali di Clark che si rivede in un certo senso in Chris e cerca di dargli una mano ad orientarsi nel suo nuovo mondo, ad essere una guida per il ragazzo come lo sono stati per lui pa’ e ma’ Kent. Altro pregio è quello di essere una storia al 100% newreader-friendly: johns ha ridotto il cast all’osso e non ci sono rimandi di sorta a avvenimenti del rempoto passato, il fumetto è perfettamente fruibile da chiunque abbia visto anche solo i primi due superman insomma.
Chiudo il commento sullo “scritto” dicendo che non ricordo più quale vecchio scrittore se ne uscì una volta con “Sai di star leggendo una bella storia di superman quando, girando le pagine, senti il tema di John Williams nella testa” e devo dire che leggendo Last Son mi è successo. Non l’ho sentito forte e chiaro come nell’ultima decina di pagine di Superman e
Passiamo ai disegni, che dite? Adam Kubert è stato lento da far schifo, però queste tavole sono dei gioiellini. Fate caso al perfetto uso della prospettiva nel disegnare i palazzi di Metropolis sullo sfondo, o il dettaglio della tavola dell’ultimo numero in cui l’esercito arriva in città, oppure ancora alla particolarissimo modo con cui ha disegnato le scene ambientate nella zona negativa (in originale quell’albo è uscito anche in 3-D, con tanto di occhialini allegati. Ovviamente da noi niente). Diciamo pure che è il minimo sindacale quando ci metti un anno per disegnare 48 pagine, cioè una tavola a settimana, però… che meraviglia!
I colori sono di James Stewart, l’uomo che ha vinto 4 eisner negli ultimi 5 anni come miglior colorista, non credo di dover aggiungere altro.
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